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Celiaci e Vegani, Stiamo Zitti? Riflessioni Sincere sulla Celiachia e le Allergie Alimentari

Questo fine settimana mi sono imbattuto in un articolo di una blogger esperta di allergie alimentari, intitolato con una frase piuttosto provocatoria: ‘Celiaci e Vegani possono semplicemente stare zitti’.

Inizialmente, la mia reazione è stata di profondo sconcerto e quasi di offesa. Mi sono chiesto cosa avessi mai fatto io, con il mio intestino capriccioso, per meritare un’affermazione così drastica e apparentemente ingiusta. La mia mente, inevitabilmente, ha cominciato a formulare una serie di obiezioni e pensieri di difesa.

Naturalmente, la mia curiosità è stata immediatamente stimolata. Un titolo del genere, così diretto e controverso, non poteva che spingermi a voler capire il contesto e il punto di vista dell’autrice.

Tuttavia, dopo aver letto l’intero post, non una ma diverse volte, ho dovuto ammettere che mi ha costretto a fermarmi e a riflettere profondamente. La prospettiva presentata, sebbene inizialmente scioccante, conteneva una verità inaspettata e sfaccettata.

Infatti, ciò che la blogger e autrice Ruth Holroyd sostiene nel suo articolo è, per gran parte, veritiero e meritevole di considerazione. Ha saputo toccare un nervo scoperto, inducendo a una riflessione più ampia sulle diverse sfide legate alle restrizioni alimentari.

La sua tesi principale, che potrebbe sembrare controintuitiva a molti, è che, in un certo senso, le persone affette da celiachia sono, per certi aspetti, fortunate.

(Vi prego di concedermi il beneficio del dubbio e di continuare a leggere con mente aperta!)

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Aspettate… i celiaci sono fortunati?! La Storia di un Percorso Alimentare

Ricordo vividamente il periodo immediatamente successivo alla mia diagnosi di celiachia. Ogni volta che ne parlavo, la reazione più comune era uno sguardo perplesso, spesso seguito da domande come “celiachi, che cos’è?” o, peggio ancora, dalla confusione con la radice di sedano rapa, il “sedano rapa”. Era come se stessi parlando una lingua sconosciuta, un dialetto alieno. Quando menzionavo il glutine, molti mi guardavano come se avessi appena enunciato una complessa formula matematica in francese antico.

A quei tempi, il “reparto senza” nei supermercati era poco più di un angolo malinconico e trascurato. Si trovavano forse un paio di macaron al cioccolato, spesso secchi, e un’unica pagnotta di “pane” senza glutine, la cui consistenza ricordava più un mattone che un alimento commestibile. Le opzioni erano così limitate da rendere ogni spesa un’impresa frustrante e spesso deludente per chi cercava alternative sicure.

Oggi, la situazione è radicalmente cambiata. La consapevolezza della celiachia è cresciuta esponenzialmente, non solo tra gli addetti ai lavori ma anche nel pubblico generale. La maggior parte delle persone ne ha almeno sentito parlare – magari un amico, un parente, o il cugino dello zio del fratello ne soffre – e le scelte per mangiare fuori casa sono notevolmente aumentate. È quasi sorprendente quanta strada abbiamo fatto in pochi anni.

Pensate, ora abbiamo interi corridoi (o addirittura più corridoi!) dedicati ai prodotti senza glutine nei supermercati, con una varietà di alimenti che spazia dal pane fresco ai dolci, dalle paste ai prodotti surgelati, offrendo finalmente una dignità alimentare a chi segue questa dieta. Esistono persino liste di ristoranti accreditati, il cui personale è stato formato specificamente per soddisfare le nostre esigenze, garantendo pasti sicuri e gustosi. Questo progresso è un chiaro segno di come la società si stia adattando e riconoscendo l’importanza di includere chi ha particolari necessità alimentari, andando oltre la semplice moda.

E naturalmente, per me, la sfida si limita a gestire un solo allergene: il glutine. Non devo destreggiarmi tra molteplici restrizioni alimentari, il che semplifica notevolmente la mia vita quotidiana. Se il glutine è evidenziato in grassetto nell’elenco degli ingredienti, individuarlo è relativamente semplice, anche se richiede comunque un’attenzione costante e scrupolosa.

Ma cosa succederebbe se fossi allergico a qualcosa di più oscuro, meno comune, e quindi meno facile da individuare o da gestire? Posso solo immaginare quanto debba essere infinitamente più difficile navigare nel mondo alimentare con un’allergia meno conosciuta rispetto alla sfida, già non trascurabile, di evitare il glutine. La complessità e il livello di ansia che ne deriverebbero sarebbero sicuramente maggiori, rendendo ogni pasto un’incognita e ogni uscita un potenziale rischio.

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Mangiare Fuori: Un Campo Minato o Un’Opportunità per Tutti?

E cosa succede quando si tratta di mangiare fuori con la celiachia? Questa è una delle sfide più grandi e frustranti per chiunque segua una dieta senza glutine rigorosa. La teoria è che, con l’aumento della consapevolezza, dovrebbe essere più facile, ma la realtà è spesso ben diversa. La pratica del “mangiare fuori” per un celiaco è un equilibrio delicato tra la voglia di socializzare e la necessità di garantire la propria sicurezza alimentare.

Come ho scoperto di persona nell’ultima settimana, e come molti celiaci sanno bene, anche i menu specificamente contrassegnati come “senza glutine” non sono sempre sinonimo di sicurezza assoluta. Ci sono molte insidie nascoste che possono compromettere la nostra salute e la nostra tranquillità, dalla preparazione alla gestione delle scorte.

Tra queste, le avvertenze “potrebbe contenere” presenti nella catena di approvvigionamento degli ingredienti rappresentano una fonte costante di ansia. A volte queste diciture sono oneste, altre volte sono precauzioni eccessive dei produttori per evitare cause legali, ma per noi celiaci, ogni “potrebbe contenere” è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. Non possiamo permetterci di prendere rischi, anche minimi, data la natura della nostra condizione.

Altre problematiche includono cucine senza un’area di preparazione sicura e dedicata per gli alimenti senza glutine, dove la contaminazione incrociata è un rischio concreto e costante. Oppure, cibi “senza glutine” fritti nello stesso olio utilizzato per alimenti contenenti glutine, rendendoli di fatto non sicuri per noi, anche se etichettati come tali. Questi dettagli, spesso trascurati, sono vitali per la nostra salute.

E poi c’è il fattore umano: il personale poco formato, che non comprende la gravità e le implicazioni della celiachia. O peggio ancora, il personale poco formato che non vuole capire, minimizzando i rischi o considerando la nostra condizione come una semplice “moda” o una preferenza dietetica. Questa mancanza di conoscenza e sensibilità può trasformare un’esperienza piacevole in un incubo, e una cena in un momento di estrema ansia.

L’elenco potrebbe continuare all’infinito, includendo problemi con la gestione delle comande o la scarsa attenzione ai dettagli. E ancora, posso solo immaginare quanto debba essere infinitamente più complicato e stressante per chi deve gestire allergeni meno noti o più rari, dove la comprensione e la preparazione del personale sono ancora più scarse, e le opzioni quasi inesistenti.

Ma forse – e lo dico mentre mi nascondo dietro il cuscino del divano, quasi timoroso di pronunciare queste parole – dopotutto non siamo messi poi così male? Questa è la provocazione dell’articolo di Ruth, e devo ammettere che c’è un fondo di verità su cui vale la pena riflettere.

Sì, mangiare fuori con la celiachia è un campo minato e, a volte, una vera seccatura, una fonte di frustrazione e disagio. Ma, a pensarci bene, almeno riusciamo quasi sempre a trovare un posto dove mangiare. Magari non avremo infinite opzioni, ma la possibilità esiste e non è una rarità trovare locali attrezzati. Questo è un privilegio che non tutti condividono.

Almeno esistono alcuni ristoranti con status accreditati per il senza glutine, con aree di preparazione separate, menu specifici e personale ben istruito che prende sul serio la nostra condizione. Questi sono veri e propri presidi di sicurezza per la nostra salute, punti di riferimento affidabili in un mondo altrimenti incerto.

E, fondamentale, almeno non dobbiamo vivere con la paura costante che mangiare una cosa sbagliata possa drasticamente abbreviarmi la vita. Questa è una distinzione cruciale che mi porta a riflettere sulla prospettiva di chi affronta allergie ben più gravi e potenzialmente letali.

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Celiachia contro Allergie: Una Lente di Ingrandimento sulle Gravità Differenti

Vivere con il rischio di anafilassi non è assolutamente qualcosa da prendere alla leggera, anzi. È una condizione che impone una vigilanza costante e un livello di paura che la maggior parte delle persone non può nemmeno immaginare. Ed è proprio per questo motivo che, facendo un confronto onesto, mi considero fortunato ad avere “solo” la celiachia. Questa è la cruda realtà che la provocazione di Ruth mi ha spinto ad accettare, permettendomi di ridimensionare le mie stesse difficoltà.

Non devo preoccuparmi che, in qualsiasi momento, ciò che mangio possa uccidermi nel giro di pochi minuti dal momento in cui tocca le mie labbra. Questa è una distinzione fondamentale che separa la mia esperienza da quella di chi soffre di allergie alimentari gravi, per le quali anche una traccia minima può avere conseguenze fatali. La loro è una lotta per la sopravvivenza quotidiana, un fardello invisibile che portano con sé a ogni pasto.

So per certo che, per una persona che vive con allergie così severe, la sensazione di paura, di ansia e di profonda sfiducia verso il cibo e i luoghi pubblici deve essere infinitamente più grande di quella che io, personalmente, provo quando esco a mangiare. La loro è una vita di costante allerta, dove ogni pasto fuori casa è una potenziale minaccia. Ogni interazione con il cibo non preparato da loro stessi è carica di un’incertezza spaventosa e paralizzante.

In effetti, se avessi un’allergia di quel tipo, mi chiedo sinceramente se avrei mai il coraggio di uscire a mangiare fuori. La tentazione di rinunciare a qualsiasi esperienza culinaria al di fuori delle mura domestiche, dove il controllo è totale, sarebbe enorme. Questo mi fa apprezzare ancora di più la libertà relativa che, nonostante tutto, la celiachia mi concede, pur con tutte le sue limitazioni.

Con il numero crescente di avvertenze come “potrebbe contenere”, “non possiamo garantire” e “non possiamo soddisfare le allergie” che compaiono sui menu, cosa significa tutto questo per tutti noi? Questi disclaimer, sempre più frequenti, creano un clima di incertezza e di esclusione che riguarda non solo chi ha allergie gravi, ma anche i celiaci e chiunque abbia intolleranze. Stiamo assistendo a un restringimento delle possibilità di mangiare fuori in sicurezza, piuttosto che a un’apertura?

Il rischio di reazioni è effettivamente maggiore, o sono semplicemente gli esercizi commerciali troppo spaventati dalle possibili ripercussioni legali, tanto da non voler nemmeno più prendere in carico clienti con allergie e intolleranze? Questa è una domanda cruciale. Sembra che, in alcuni casi, la prudenza eccessiva mascheri una riluttanza a investire nella formazione e nelle infrastrutture necessarie per servire in sicurezza questa fetta crescente di clientela, scaricando il rischio sul consumatore.

Ci sono molte domande a cui rispondere, e posso solo sperare che l’aumento della consapevolezza generale non si traduca solo in più disclaimer, ma contribuisca effettivamente ad alimentare una maggiore volontà e capacità da parte dei ristoratori di soddisfare in modo sicuro e inclusivo sia i clienti allergici che quelli celiaci. È un percorso difficile, ma necessario per costruire una società alimentare più equa e accessibile, dove tutti possano mangiare fuori senza paura.

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La Celiachia Non È Una Scelta, Ma Una Condizione Medica Riconosciuta

A differenza del costante aumento del veganismo o di altre scelte dietetiche basate su preferenze personali o filosofie di vita, è fondamentale sottolineare un punto cruciale: la celiachia non è una scelta. Non si tratta di una moda passeggera o di una dieta che si può seguire a piacimento, ma di una condizione medica autoimmune grave, con conseguenze significative se non gestita correttamente. Questa distinzione è spesso fraintesa, portando a confusioni e minimizzazioni delle nostre esigenze.

Sì, è vero, c’è stato un periodo in cui il “senza glutine” è diventato un po’ una tendenza, specialmente quando figure pubbliche come Gwyneth Paltrow hanno contribuito a renderlo à la mode. Molti lo hanno adottato per presunti benefici per la salute o per dimagrire, senza una diagnosi medica. Tuttavia, quella fase di “moda” sembra essersi in gran parte esaurita o trasformata, e le motivazioni sono cambiate.

Ora, a quanto pare, il vegano è il nuovo senza glutine, tesoro. Questa nuova ondata di popolarità per le diete basate su scelte etiche o salutistiche personali ha avuto un effetto collaterale inaspettato e, per noi celiaci, piuttosto preoccupante: ha portato a un progressivo ridimensionamento dei “reparti senza” nei supermercati e, parallelamente, a un calo delle opzioni realmente sicure e adatte ai celiaci quando si mangia fuori. Le risorse e l’attenzione si sono spostate altrove, a volte a nostro discapito.

Ho onestamente perso il conto delle volte in cui ho chiesto un pasto “senza glutine” e mi è stato consegnato un menu vegano. Questa confusione tra le due condizioni è purtroppo comune e genera molta frustrazione. Nonostante le migliori intenzioni, molti ristoratori e addetti ai lavori non riescono a distinguere tra una condizione medica per la quale l’assunzione di glutine provoca danni fisici e una scelta dietetica che, pur rispettabile, non comporta le stesse implicazioni sanitarie e i medesimi rischi per la salute.

La mancanza di consapevolezza e di educazione in questo settore è sconcertante e rende incredibilmente faticosa la lotta quotidiana per chiunque sia costretto a navigare in questo mondo. Non si tratta solo di trovare un’opzione, ma di trovare un’opzione *sicura* e adeguata alle nostre esigenze mediche, non solo gustative.

Ma ripeto con forza: non ho scelto di avere la celiachia e non ho assolutamente scelto di mangiare senza glutine. Questa dieta è l’unico trattamento disponibile per la mia condizione autoimmune cronica. Per me, mangiare senza glutine non è una preferenza, ma una necessità vitale, un atto terapeutico indispensabile per la mia salute a lungo termine. È l’unica cosa che impedisce al mio corpo di attaccare letteralmente sé stesso, causando danni gravi e progressivi ai miei organi interni, in particolare all’intestino tenue.

Per questo, spero vivamente di non essere classificata nella stessa categoria di chi ha scelto di essere vegano, o di chi ha scelto di evitare il glutine per motivi di benessere percepito o di intolleranza minore. Non ho assolutamente nulla in contrario a queste persone, rispetto le loro scelte e le loro convinzioni, ma è fondamentale chiarire che esiste una differenza sostanziale e non negoziabile. La nostra è una condizione medica che richiede una disciplina ferrea e una consapevolezza profonda.

Credo che molte persone con un’intolleranza minore, che magari avvertono solo un leggero disagio dopo aver mangiato glutine, abbiano comunque un grado di empatia maggiore per noi celiaci, sapendo che loro non devono chiedere che la cucina venga pulita a fondo ogni volta che escono a mangiare, per il terrore delle briciole. La loro non è una battaglia contro la contaminazione incrociata, ma la nostra sì, ed è una battaglia che non possiamo permetterci di perdere.

Perché, esattamente come chi soffre di un’allergia grave, anch’io devo prestare la massima attenzione a questioni come la contaminazione incrociata, oltre che, ovviamente, a cosa mangio. Non si tratta solo degli ingredienti principali di un piatto, ma di ogni potenziale traccia nascosta che potrebbe compromettere la mia salute e il mio benessere.

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La Contaminazione Incrociata: Una Minaccia Silenziosa e Le Sue Conseguenze a Lungo Termine

Per me, la contaminazione incrociata non è affatto uno scherzo, e le sue conseguenze possono essere significative e prolungate. Spesso, significa dover affrontare una settimana o più di recupero da sintomi debilitanti: mi sento male, stanco, spesso nauseabondo, con dolori addominali e un senso generale di spossatezza. E in più, mi odio per non aver interrogato abbastanza a fondo il cameriere o per non essere stato abbastanza cauto. È un senso di colpa e frustrazione che si aggiunge al malessere fisico. Tuttavia, è importante ribadire: non mi causerà la morte immediata, ma il danno è reale e profondo.

Ma sono acutamente consapevole che, una volta che i sintomi più evidenti si placano, il danno interno potrebbe persistere, invisibile e insidioso. L’intestino di un celiaco, dopo aver iniziato una dieta rigorosamente senza glutine, può impiegare dai sei ai diciotto mesi per recuperare completamente la sua funzionalità e la struttura dei villi intestinali. Questo significa che, se per errore mi capita di essere “glutinato” in un ristorante ogni sei mesi circa, il mio intestino potrebbe non guarire mai del tutto? Il processo di recupero verrebbe costantemente interrotto, mantenendo uno stato di infiammazione cronica e impedendo una completa remissione della malattia.

Questo scenario potrebbe rendermi più suscettibile a rischi a lungo termine, come l’osteoporosi (a causa del malassorbimento di calcio e vitamina D essenziali per la salute delle ossa), l’infertilità (che può colpire sia uomini che donne) o addirittura un aumento del rischio di cancro all’intestino? La risposta sincera è che non lo so con certezza scientifica per ogni singolo caso. Ma di una cosa sono sicuro: non voglio assolutamente correre questo rischio. La prospettiva di danni permanenti e di malattie future è una preoccupazione reale e legittima che pesa sulla mia mente ogni giorno.

E sebbene io riconosca che questo non sia minimamente paragonabile a una reazione anafilattica a un allergene, dove la vita è in pericolo imminente e la velocità di intervento è cruciale, è comunque una preoccupazione costante che grava sulla mia mente regolarmente. È un fardello invisibile, ma sempre presente, che influenza le mie scelte quotidiane, soprattutto quando si tratta di alimentazione fuori casa e di fiducia negli altri.

Quindi, quando vedo locali che offrono menu “senza glutine” che poi, in piccolo, riportano l’avvertenza “potrebbe contenere tracce di glutine”, la mia preoccupazione si accende. Non solo per me stesso, che magari posso recuperare da una settimana di malessere, ma anche e soprattutto per le persone i cui sintomi di celiachia sono così gravi da portarle spesso al pronto soccorso, o a soffrire per settimane o mesi a causa di una singola briciola di glutine. Per loro, anche la minima contaminazione è un calvario doloroso e debilitante che compromette seriamente la qualità della vita.

E la mia preoccupazione si estende con la stessa intensità ai “celiaci silenziosi”, coloro che non manifestano sintomi evidenti e che, di conseguenza, sono inconsapevoli del danno costante e progressivo che il glutine sta causando al loro intestino. Non avere sintomi non significa non avere la malattia, e il danno interno può essere grave tanto quanto in chi manifesta sintomi acuti, aumentando i rischi a lungo termine senza alcuna avvisaglia.

E, naturalmente, sono preoccupato per tutti quei clienti che non possono tollerare il glutine nemmeno al di sotto del limite di 20 parti per milione (il limite riconosciuto nel Regno Unito e in Europa per il “senza glutine”) per il timore di una reazione anafilattica o di sintomi estremamente gravi. Sì, ci sono persone con sensibilità estreme o allergie al grano che richiedono un rigore assoluto che va oltre la semplice dicitura “senza glutine”.

In sintesi, ciò che voglio esprimere è che, nonostante i nostri sintomi possano differire per tipo e gravità, la celiachia e le allergie alimentari restano problematiche con cui tutti noi dobbiamo confrontarci con una frequenza deludente. È una battaglia comune per la sicurezza e la consapevolezza alimentare, e dovremmo sostenerci a vicenda in questa lotta per un mondo più inclusivo.

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Quindi, i Celiaci Dovrebbero Semplicemente “Stare Zitti”? La Nostra Voce è Essenziale.

A essere onesto, e dopo tutta questa riflessione, non credo affatto che dovremmo “stare zitti”. Anzi, credo che la nostra voce sia più importante che mai, e che il silenzio non sia un’opzione. La mia posizione è chiara: preferirei di gran lunga che lavorassimo tutti insieme – celiaci, allergici, intolleranti, ristoratori e consumatori – per rendere il mondo del mangiare fuori un luogo più sicuro, inclusivo e comprensivo per tutti coloro che vivono con allergie e intolleranze alimentari. La collaborazione e la comprensione reciproca sono le chiavi per il progresso e per un futuro migliore.

Tuttavia, l’articolo di Ruth mi ha decisamente fatto fermare e apprezzare quanto, in un certo senso, noi che seguiamo una dieta senza glutine “se la caviamo” relativamente bene, soprattutto se paragonati a qualcuno che ogni singolo giorno affronta la paura della morte a causa di allergeni multipli. Questa è una prospettiva che, pur essendo scomoda, è necessaria per una visione più equilibrata della situazione globale e per una maggiore empatia.

So che alcune persone potrebbero non essere d’accordo con questa affermazione, e le loro ragioni sono valide. Ogni condizione ha le sue sfide uniche e il suo peso, e non si tratta di un concorso a chi sta peggio. Ma per me, che sono un “veterano” della celiachia e ho vissuto questa condizione per molti anni, ho trovato che il mio piccolo mondo senza glutine sia diventato molto più facile da navigare rispetto al passato. Ci sono più opzioni, più consapevolezza, più strumenti a disposizione, rendendo la vita quotidiana meno gravosa. Questo non sminuisce le difficoltà, ma riconosce i progressi compiuti e ci dà speranza per il futuro.

Sì, continuerò a lamentarmi e a fare rumore per il ridimensionamento dei “reparti senza” nei supermercati. Lo farò perché se i cibi “senza glutine” vengono sostituiti da alimenti vegani spesso contaminati o con avvertenze di “potrebbe contenere”, questo è un danno per tutti noi, indipendentemente dalla nostra specifica condizione. La chiarezza, l’integrità e la sicurezza dovrebbero essere priorità assolute per l’industria alimentare. Questa tendenza, se non controllata, rischia di erodere i progressi fatti con tanta fatica.

Questo perché mi piace pensare a noi tutti – celiaci, allergici e intolleranti – come a un’unica, grande comunità. Insieme, abbiamo il potere sufficiente per esercitare una pressione reale e significativa sulle aziende, spingendole a migliorare le loro pratiche e a investire nella sicurezza alimentare. L’unione fa la forza, e solo agendo in modo coeso possiamo ottenere cambiamenti duraturi e positivi. Avendo avuto la celiachia per così tanto tempo e avendo parlato con persone in tutto il mondo, riconosco quanto siamo incredibilmente fortunati, qui nel Regno Unito (e in molti paesi occidentali), ad avere persino delle gamme di prodotti “senza” in primo luogo. In molte parti del mondo, questa realtà è un lusso inimmaginabile.

Sì, continuerò a scherzare sul fatto che nei caffè posso mangiare solo i brownie al cioccolato senza glutine, perché so che strappa un sorriso alla gente. Non lo faccio per mancare di rispetto a nessuno, né per vantarmi delle mie restrizioni. Non lo faccio per essere ingrato verso le aziende che stanno cercando, in qualche modo, di fornire almeno qualcosa che io possa mangiare. E non lo faccio di certo perché non mi rendo conto che, in relazione ad alcune condizioni mediche ben più gravi, io sono stato fortunato.

Lo faccio per portare un po’ di leggerezza e gioia in quella che altrimenti può essere una malattia estremamente scoraggiante e isolante, che spesso ti fa sentire diverso. Spero di poter strappare un sorriso a qualcuno che sta lottando con la propria diagnosi, facendogli sentire che non è solo in questa battaglia quotidiana. E perché, forse, un proprietario di un’attività da qualche parte potrebbe leggere queste parole e riflettere sull’opportunità di offrire qualcosa di leggermente diverso, di più inclusivo e creativo. L’umorismo può essere un potente veicolo per la consapevolezza e il cambiamento, aprendo le menti e i cuori.

Siamo Tutti Sulla Stessa Barca: L’Importanza della Solidarietà e della Consapevolezza

Così come per le allergie gravi, voglio ribadire con la massima chiarezza che anche la celiachia non è assolutamente una scelta. Questa è la base su cui dobbiamo costruire la nostra battaglia comune e il nostro messaggio al mondo esterno. È una condizione medica che richiede un’attenzione e una gestione costanti, non un’opzione dietetica reversibile o personalizzabile. Questa distinzione è cruciale per la comprensione pubblica e per la risposta del settore alimentare, che deve trattarci con la serietà che la nostra condizione richiede.

Per questo motivo, esorto tutti noi – consumatori con esigenze alimentari, associazioni, operatori sanitari e, perché no, anche ristoratori illuminati – a continuare a esercitare pressione sui fornitori di servizi di ristorazione e sui supermercati. Dobbiamo chiedere maggiore trasparenza, più opzioni sicure e una migliore formazione del personale. Solo lavorando insieme, unendo le nostre forze e le nostre voci, potremo davvero innescare un cambiamento significativo che andrà a beneficio di tutti noi, rendendo il mondo alimentare un luogo più accessibile, meno rischioso e meno stressante per chiunque viva con restrizioni alimentari.

E a Ruth, se mai avrai bisogno di un celiaco entusiasta e a volte leggermente “aggressivo” (nel senso buono del termine, determinato a difendere le nostre cause) per sostenere la tua battaglia a favore delle persone con allergie, sappi che puoi sempre contare su di me. La solidarietà tra le diverse comunità con esigenze alimentari speciali è fondamentale per raggiungere obiettivi comuni e superare le sfide che ci troviamo di fronte ogni giorno. Insieme siamo più forti.

Per comprendere meglio cosa significhi vivere con le allergie alimentari, vi incoraggio vivamente a leggere l’articolo di Ruth, intitolato ‘Coeliacs and Vegans Can Just Shut Up’, che potete trovare qui. Questo articolo è stato la scintilla per queste mie riflessioni, e offre una prospettiva preziosa e, a volte, scomoda ma necessaria per una comprensione più profonda.

Inoltre, e non è un caso, questa è anche la Settimana della Consapevolezza sulle Allergie (dal 26 al 31 maggio), un’occasione importante per informarsi e sostenere chi ne soffre. Potete trovare maggiori informazioni qui. Sostenere queste iniziative è un passo fondamentale per promuovere una maggiore comprensione e sicurezza nel campo delle allergie e intolleranze alimentari, creando un ambiente più inclusivo per tutti.

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